Il marketing ha avuto una formidabile evoluzione in questi anni.  Tutti sappiamo che questa funzione è fondamentale per il successo di un’azienda.  Un’impresa può dare in outsourcing quasi qualsiasi processo ma sicuramente non può abdicare sulla qualità della relazione coi clienti.  Possiamo creare un’intera azienda su una semplice opportunità commerciale, ma non possiamo gestire imprese se non c’è capacità di incontrare il mercato.

Il marketing, cos’è?

Ha avuto diffusione nella seconda metà del secolo scorso come strumento di differenziazione in mercati consumer, fil rouge della grande saga delle comunicazioni di massa e dei relativi consumi.  Prodotti indistinti o addirittura sfusi, una volta confezionati diventavano brand e poi star.

Philip Kotler è la persona che, abbinando i fondamentali della strategia d’impresa alle tecniche di comunicazione pubblicitaria, ha divulgato il concetto di marketing management.  Questa resta la pietra miliare del concetto di marketing, spesso ancora non del tutto assorbita. Il marketing è quindi analisi, pianificazione, esecuzione e controllo.  Una disciplina basata sulla logica e sui numeri.  Un metodo che vede una parte strategica riconnettersi alla vision e alla strategia dell’impresa, poi una sezione specifica di targeting e posizionamento e quindi un deployment attraverso le leve del cosiddetto marketing mix, ovvero prodotto, prezzo, distribuzione e comunicazione, parole chiave dietro cui stanno poi mille attività, dal packaging alla comunicazione online.

Questo modello è stato sfidato nel tempo, a volte con riscritture modaiole, poi con l’impatto del digitale, che ha portato in certi casi a verticalizzazioni anche importanti ma, in definitiva, nella sua versione organica, il marketing management resta l’unico modo per creare un business sostenibile e riproducibile.  Applicabile su ogni scala, cioè dal grande piano di marketing di una multinazionale fino ad azioni specifiche online, la potenza del marketing management risiede non solo dalla qualità con cui viene eseguito, mettendo in gioco un mix di esperienza, logica e creatività, ma anche dal grado di coerenza interna con cui viene orchestrato e dalla continuità con cui è portato avanti nel tempo e fatto evolvere.

E il diavolo sta nei dettagli e nella messa a terra, per cui se nella finanza “cash is king”, se nei media “content is king”, nel marketing diciamo “ROI is king”, ove ROI sta per Return On Investment, cioè portiamo risultati numerici e li monitoriamo giorno dopo giorno, rispetto alla spesa effettuata, per un continuo fine tuning.

Digitale e risultati

Nel corso degli ultimi vent’anni il mondo è progressivamente diventato digitale e il marketing è stato una delle funzioni impattata per prima e più radicalmente, perché è un’attività basata su numeri, concetti, informazioni.  E anche in quanto punto d’accesso e di monitoraggio dell’azienda sui mercati, di progettazione delle revenues, di apertura alle nuove generazioni, che siano dipendenti o clienti, di esplorazione di nuovi canali e distretti di domanda, ovunque siano.

Il marketing online, nato come applicazione di banner ai primi siti d’informazione, poi trasferitosi su mobile e infine sui social, è esploso in un’ampia serie di attività: gestione di contenuti e di comunità, marketing automation per la gestione di processi di generazione di leads nella relazione col cliente, ottimizzazione dei siti internet rispetto ai motori di ricerca e molto, molto altro.

Fino a questo punto, tuttavia, il marketing funzionava ancora con il modello tradizionale.  Le cose sono iniziate un po’ a cambiare quando gli strumenti di marketing, grazie alla tecnologia, hanno preso una direzione realmente disruptive, pensiamo ad esempio al programmatic, ovvero l’utilizzo di piattaforme per la selezione dell’audience.  In questo caso, l’azienda acquista pacchetti di clienti in target, confezionati da società in questo specializzate, che li mettono all’asta su piattaforme online.  Ad esempio, se offro auto a noleggio in giro per il mondo, acquisto da un sito editoriale australiano la possibilità di fare pubblicità a clienti che nel corso dell’ultimo mese hanno guardato pagine di dettagli di viaggio su quello stesso sito o anche su altri siti, da esso aggregati e magari ripartiti per paese.  Parliamo quindi di una filiera fortemente intermediata, con livelli di trasparenza variabili ed elevate tecnicalità.  Lo stesso si applica ad esempio all’attività di SEO, oggi fondamentale per l’ottimizzazione della presenza sui risultati dei motori di ricerca, che coinvolge molteplici professionalità, spesso con ruoli piuttosto tecnici.

Ulteriore step di non ritorno sul digitale è stata la nascita di nuovi business model, iniziati col peer-to-peer, il crowdsourcing, il pay per use, l’on-demand, l’ecommerce e oggi chiamati sharing economy, software as a service, servitizzazione, platform, marketplace, ecosistema.

Nel frattempo, alcune funzioni hanno iniziato a trovare nuovi accreditamenti, ad esempio il project management è diventato non più solo una competenza ma una professione, fino a valorizzarsi e trasformarsi nel concetto di design thinking.  Sul fronte digitale, intanto, alcune professioni hanno acquistato sempre più spessore e autonomia, non solo quelle di carattere tecnico, per non parlare dell’universo ecommerce, ma pensiamo alle specializzazioni di content marketing, che oggi vanno dai community manager alla fioritura del mondo dei bloggers.  Quindi una diaspora dal marketing management verso ruoli più specifici e sempre più complessi da gestire per l’azienda che deve orchestrare il proprio go-to-market, perché legati a una serie di KPI variamente raffinati e a volte di non immediata riconduzione agli obiettivi aziendali.

Negli stessi anni, la finanza è diventata ancor più determinante nella generazione della competitività dell’impresa, pensiamo al ruolo sempre più articolato di nuovi intermediari, fondi, crowdfunding, business angels, fino alle boutique di finanza straordinaria e alle agenzie di finanza agevolata.  Qualsiasi business model, con la giusta iniezione di finanza straordinaria, e un’iperventilazione di marketing online, può ragionevolmente decollare, almeno fino alla prima ventata.

Dall’altro versante, le Operations sono diventate l’arena della trasformazione digitale, con Industry 4.0 e i suoi paradigmi tra cui IoT, AI, ovvero una nervatura pervasiva di dati che dal prodotto finito e consegnato risalgono fino all’azienda attraverso sensori e reti, ridefinendone i modelli di relazione col cliente e i processi produttivi.  Questo ha portato anche all’identificazione di un nuovo ruolo tra mercato e tecnologia, quello dell’innovation manager, che in ambito B2B svolge una funzione di pre-sales, mentre nel B2C aiuta le scelte tecnologiche ascoltando i mercati oppure organizzando scouting e open innovation.

Il ruolo del direttore marketing

Connettere la vision dell’imprenditore o del CEO, discuterla e tradurla in una proposizione di business più o meno consolidata su cui creare engagement internamente e innestare canali di relazione col pubblico.  Questo è sicuramente il cuore della missione.  Competenza di settore, capacità di ascolto e di comunicazione, logica concettuale e quantitativa, un po’ di anima creativa, sete della modernità e forte aggiornamento sul mercato e sulle tecnologie, sono gli ingredienti esclusivi del ruolo.

Alcune aziende, spingendo il pedale dell’innovazione e della tecnologia, premiate dall’aver centrato le giuste combinazioni di tecnologia e mercato, hanno operato su leve puramente sales o puramente digitali.  Oggi, tuttavia, emerge che per assicurare una crescita solida del proprio business, scalabile e quindi compatibile con i requisiti della finanza e i vincoli degli investimenti, non basta affidarsi a successi momentanei.  Occorre tornare a logiche più solide di targeting e posizionamento.  Sui mercati B2B gli accreditamenti sono processi complessi, così come sui mercati consumer, dove la credibilità viene costruita attraverso touch-point e continuità, non by opportunity.  La selezione delle tecnologie di go-to-market richiede affidamento e professionalità, altrimenti il caos digitale diventa leggendario.

Riacquista quindi il Direttore Marketing, ovvero il Chief Marketing Officer, detto CMO nel mondo anglosassone, un ruolo chiave di visione, selezione, validazione, coordinamento, allineamento e deployment.

Il metodo del CMO fractional

Molte aziende italiane hanno un forte bisogno di questa figura, rappresentata a 360 gradi, per consentire quel contributo strategico, di coordinamento e di innovazione che le è proprio.  Ma ne hanno bisogno in modalità flessibile, una novità per il mercato delle professioni in Italia, un tipo di collaborazione che noi chiamiamo fractional, intesa quindi a massimizzare il beneficio della presenza, contenendo l’impegno in termini economici e di eventuale rischio rispetto all’evoluzione del fabbisogno e della relazione.

Il Chief Marketing Officer fractional interessa a imprese che vedono lo scenario cambiare giorno dopo giorno e hanno bisogno di iniezioni di digitale abbinate a una regia per essere sicure di cogliere tutti i benefici della trasformazione senza rallentamenti; società che non riescono a modificare gli strumenti e le modalità di go-to-market per ragioni organizzative o di equilibri; scale-up che hanno ricevuto finanziamenti e devono ora industrializzare i processi commerciali in linea con la produzione della loro offerta, per determinare una linea scalabile di ricavi; imprese che vedono l’arena competitiva infittirsi di scale-up, soggetti con nuovi modelli di servizio; aziende in turnaround o in passaggio generazionale; organizzazioni che hanno bisogno di nuovo slancio strutturato ma che non vogliono irrigidire la struttura nel momento in cui cercano flessibilità.

Nel caso di professionisti senior di forte esperienza sul campo, che incontrano aziende con temi urgenti e complessi, la risposta non è uno schema, un questionario o un modello.  E’ piuttosto un dialogo che inizia con l’ascolto e diventa metodo, base su cui vengono articolati strumenti e collaborazioni che possono essere estremamente vari.  Fondamentalmente, comunque, questi sono i passaggi per macro-aree:

  1. Primo ascolto

In alcuni casi l’imprenditore o CEO ha abbastanza chiaro ciò di cui ha bisogno, in altri semplicemente avverte un problema o meglio una serie di problemi e ha passato in rassegna diverse soluzioni, nessuna realmente soddisfacente e tutte correlate a vari tipi di complessità e barriere.  Molte voci discordanti, nulla di risolutivo a conti fatti.

Occorre ascoltare a fondo, partendo senza una traccia dagli elementi di maggiore spicco, andando a cercare il driver principale, e allo stesso tempo estendendo il quadro a tutti gli aspetti funzionali.  Non basterà un incontro solo per questo gioco dei perché e il professionista saprà rendere questo racconto piacevole e arricchente per tutti gli interlocutori.  Infatti, a un certo il capo azienda vorrà coinvolgere i propri collaboratori fino a simulare una situazione di lavoro. Le domande scorreranno a due vie, fino a comporre un primo quadro organico di descrizione del modello di business per il consulente e del tipo di interventi possibili per l’impresa.

Avremo bisogno via via di informazioni più precise, numeri, processi, ruoli, persone, ambienti e cultura, stakeholders.  Ci occorre conoscere fornitori, clienti e loro caratteristiche, concorrenti, prospettive. Se l’azienda ha documenti, prodotti, piattaforme, impianti, li guarderemo, comunque sia ci costruiremo un quadro dettagliato.

La sintesi di questa fase, che è anche un momento di conoscenza e di creazione di fiducia personale, sono tre elementi chiave:

  • L’individuazione degli asset fondamentali dell’azienda. Cioè quegli elementi distintivi che hanno consentito all’impresa di nascere e conseguire i primi successi, arrivando fino a oggi.  Sono degli elementi esclusivi, difendibili e rilevanti.  Possono essere la confidenza su determinati mercati o canali, il perfetto mix tecnologia/mercati, il carisma del fondatore, la professionalità del CFO, il ruolo degli stake holders, la cultura.
  • La comprensione dei fattori critici di successo. Ovvero in che modo questi asset hanno contribuito l raggiungimento degli obiettivi di business, ovvero li hanno influenzati o addirittura determinati.  E soprattutto come questi asset potranno contribuire al percorso futuro dell’impresa.  Il match tra contesto ed elementi distintivi dell’impresa è appunto il cuore della progettazione strategica, in un gioco dinamico tra obiettivi, strumenti e fattori abilitanti.
  • Equilibrio economico-finanziario. Il progetto strategico si ricompone in diversi trade off di impiego delle risorse e generazione dei risultati, e quindi business model, piano marketing e campagne vengono ricondotti a modelli economici che nel business plan trovano il punto di partenza, di validazione e d’arrivo.
  1. Livello d’intervento

Un consulente senior di area marketing può intervenire a diversi livelli sull’azienda che cerca una svolta.  Partiamo da un feed-back strutturato di quanto abbiamo compreso, cioè un debrief in cui ripercorriamo quanto abbiamo compreso dell’azienda, ovvero punti di forza, di debolezza, business model, value proposition, criticità organizzative e contesto tecnologico, e quindi il marketing mix che abbiamo in mente e le prospettive di ROI in termini di acquisizione clienti.

Il tipo di intervento può essere di sostegno alla progettazione strategica, di supporto all’imprenditore su particolari temi commerciali o organizzativi, oppure può partire con la gestione di specifici progetti di prodotto / servizio, ricerca, go-to-market, digitale o tradizionale, magari abbinati all’apertura di determinati canali commerciali o attivazione di clienti, fino a coprire emergenze o a consentire l’accesso a opportunità anche solo semplicemente grazie al network e all’esperienza del consulente.

Non vi sono impermeabilità tra le modalità di supporto ma ovviamente si deve essere consapevoli dei diversi piani e saper individuare priorità, strumenti e piani di lavoro realistici, in grado di portare risultati tangibili e significativi.

  1. Modello operativo

Il CMO fractional è un ruolo estremamente dinamico e flessibile, che può connotarsi sia con un contratto a tempo determinato, anche con un impegno parziale di ore settimanali, sia a progetto, sia a partita IVA a giornata.

In questo ultimo caso, che è il più tipico della modalità fractional, possono essere indicati giorni fissi della settimana, ad esempio due, con opzione per un quantitativo maggiore.  L’accordo deve premiare l’operatività e il risultato, possono esserci condizioni particolari a volume o per tipi d’imprese e accordi in smart working.  Esiste anche la possibilità di estrarre quote di compenso al raggiungimento di determinati risultati o a success fee commerciale, così come una porzione della retribuzione può essere in work for equity.

  1. Budget e azioni

Con riferimento all’argomento budget, vi sono due approcci completamente diversi tra loro, uno consiste nel vedere la funzione marketing con un centro di costi e ricavi, con un budget preassegnato e commisurato agli obiettivi di revenues.  Il secondo, invece, consiste nel vedere il marketing come cuore della creazione del valore.

Nel primo caso il direttore marketing, un po’ come le agenzie di comunicazione e media, cerca di convincere il CEO al continuo ampliamento del budget di spesa, perché lì vede il progresso della propria funzione.  Nel secondo caso, invece, che è quello in cui noi crediamo maggiormente, e che ha un punto di vista in identificazione con il vertice aziendale, ciò che conta è il raggiungimento o superamento degli obiettivi di creazione del valore.  Quindi si esce dal trade-off tra fatturato e spending pubblicitario e si guarda al risultato economico complessivo di medio termine e alla reale sostenibilità dell’impresa.  A seconda del ruolo che si vuole attribuire alla funzione, possiamo allora individuare per obiettivo il MOL o ancora meglio il Risultato Netto, in abbinamento a indicatori di posizionamento, accreditamento commerciale, quota di mercato o notorietà del brand.

Il dimensionamento del budget quindi è solo una delle variabili nel mix delle scelte strategiche, da definire a seconda del grado di confidenza sul modello di business e dalla velocità con cui si vuole arrivare a determinati risultati.  In altre parole, prima occorre ottimizzare business model e value proposition, poi identificare la brand identity e rappresentarla in visual identity, quindi ampliare la distribuzione fino al punto di massa critica e solo alla fine attivare lo spending media.

La logica sopra descritta è più consumer, mentre sul fronte business si applicano logiche anche di Key Account Management, ovvero organizzate sui touch point della clientela B2B e sulla qualità del CRM e della leads generation.

Qualunque sia il mercato o la canalizzazione, grazie al digitale queste fasi possono essere sequenziate in sovrapposizione, ad esempio è possibile testare una selling proposition e contemporaneamente lanciarla, acquisendo traction via via che viene raffinata e replicata su più larga scala, declinandola su molteplici target, mezzi e canali.  Ovviamente è un lavoro che richiede esperienza e attenzione.

Quando si opera a livello internazionale, ad esempio, si può partire da un core target all’interno di un Paese per poi estendere a target affini in altri Paesi, e quindi coprire gradualmente tutti i segmenti di mercato a livello globale.  In questo modo il messaggio potrà essere differenziato su almeno cinque classi di variabili:

  • Variabili socio-demografiche o comportamentali, come nella migliore tradizione, ma anche assecondando e testando le verticalizzazioni proposte dai canali e media che riteniamo più affini, in primo luogo quelli digitali, utilizzando social media e programmatic;
  • Nazione, regione e area territoriale, lingua. Facciamo un esempio: possiamo iniziare dall’inglese americano, concentrandoci su una regione degli Stati Uniti che per noi rappresenta il territorio d’elezione cioè il target ideale, per poi estendere a regioni con condizioni similari di domanda in altre parti del mondo anglosassone e quindi passare a mercati europei oppure asiatici;
  • Fase del ciclo di vita, distinguendo se il nostro destinatario è un prospect, un cliente acquisito cui proporre up-sell o cross-sell, un cliente prossimo alla scadenza di un abbonamento o che si vuole portare al riacquisto di un item;
  • Livello di esperienza maturata rispetto alla categoria di prodotto. Ad esempio nel B2B distinguiamo tra executive e specialist oppure tra commerciali e tecnici; nello sport tra dilettanti, appassionati e pro, e così via;
  • Il contesto in cui il messaggio viene inserito sarà l’elemento su cui definire contenuto, tone of voice, flusso e call to action.

Un budget è, in definitiva, una responsabilità di rendimento, da tenere sotto controllo attraverso il monitoraggio giornaliero del ROI, cioè il ritorno economico e relazionale di questo investimento.  Tuttavia, nel caso delle PMI oppure dei settori B2B, non è necessario disporre di un budget per portare risultati di revenues, margini e posizionamento.  Sicuramente è più opportuno invece partire dalla qualità del modello di business e dalla strategia di go-to-market, con una serie di drill down, ovvero di perforazioni del mercato molto mirate, per esaminare poi i casi di successo, ottimizzarli e riprodurli su larga scala, osservando le curve dei rendimenti marginali per ogni tipo di intervento.  Questo tipo di approccio, che si fonda su passione, buon senso, ricerca e logica, viene oggi sistematizzato in un modello di intervento chiamato Growth Hacking, che si basa sull’osservazione del funnel di conversione dei diversi segmenti di target attraverso touch point trasversali e la serie dei passaggi di qualificazione della lead generation.

  1. Piani d’azione

Per concludere, il CMO che opera in azienda in modalità fractional interviene su vari piani:

Progettazione strategica

Il CMO fractional esamina con il CEO e l’imprenditore la vision dell’azienda, i suoi asset, la situazione del mercato, della concorrenza, identificando opportunità, minacce e opzioni strategiche su tecnologie, mercati e canali.   Aiuta il vertice aziendale a validare o ridefinire la propria value proposition.   E verifica l’adeguatezza dell’attuale marketing mix, per posizionamento ed efficacia.  Si parte quindi dal business model, dal modello di servizio e dalle scelte tecnologiche per poi potenziare i risultati commerciali.

Un’azienda nasce nel momento in cui si genera un mix perfetto tra tecnologia d’offerta e canali.  Queste variabili oggi cambiano continuamente.  Occorre quindi mantenere la bussola di questa matrice, ridefinendo i processi in base all’evoluzione del digitale e dei cambiamenti sociali e organizzativi.

La squadra

Il marketing è anche la catena di trasmissione tra vision dell’imprenditore, funzioni commerciali e produzione.  Creare clima, ascolto, direzione, coerenza, passione per l’innovazione e il cambiamento è una missione fondamentale per il consulente che ha a cuore i risultati dell’azienda.

L’azienda è fatta di team.  E quindi nella mission c’è anche l’impegno formare il personale marketing nel corso dei progetti sul campo, ad aiutare la selezione di nuove risorse, a creare una squadra marketing che porti l’azienda verso nuovi successi e una sempre maggiore autonomia per una crescita strutturata.

Digitale e ecommerce

Il digital marketing è passione e il DNA del marketing oggi.  Richiede esperienza, innovazione, selezione e controllo.  E soprattutto i risultati arrivano solo attraverso il suo coordinamento con il business model e la value proposition.  Definire gli obiettivi, esaminare i funnel d’acquisizione e la customer journey del cliente sono le attività che generano il valore misurabile.  Si tratta quindi di utilizzare social, mobile, SEM, PPC, automation, partnership, ecommerce, content, webinar, video, VR con un approccio quantitativo ROI-based, graduale e flessibile.

Agenzie

Il CMO fractional opera con le agenzie del cliente, favorendo la crescita del personale dell’azienda e l’irrobustimento e l’ammodernamento della relazione con le agenzie presenti.  E’ però anche in grado di proporre un ampio set di agenzie testate da lui e colleghi su attività specifiche, con capacità di forte innovazione ed espansione del business del cliente.

Advertising e PR

Sono alcune delle attività tradizionali di go-to-market e prevedono campagne pubblicitarie sui mezzi classici, realizzazione di materiali promozionali e product literature per accompagnare l’azione commerciale sul mass market così come in contesti specifici, come quelli del B2B.  Queste azioni sono corredate da ogni forma di visibilità sia sui social media, sia sui mezzi tradizionali anche con interventi di relazioni pubbliche.  Il tono e il messaggio includono anche i temi più attuali della responsabilità sociale e ambientale.

Social e content

Fondamentale generare visibilità, engagement, passaparola e chiamare all’azione attraverso la produzione di contenuti e la sollecitazione di comunità online.  Qui la professionalità e la competenza tecnica e di settore sono fattori davvero dei fattori chiave.  Il CMO fractional interverrà sui social media sia con modalità mirate, costruendo comunità, sia con approcci estensivi a diffusione internazionale.  Si tratta di interpretare il match tra brand e community, con freschezza e tecnologia, per generare considerazione, appartenenza e leads.

Reporting

Ogni azione viene monitorata per il raggiungimento dei risultati.  Vengono tracciati e comparati i leads, le acquisizioni dei clienti e i riacquisti, e questi indicatori sono messi a confronto con le spese per determinare ROI specifici per azione e campagna e quindi ottimizzare continuamente il funnel di acquisizione attraverso i canali più efficaci ed efficienti

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