Secondo uno studio condotto da KPMG, il 59% dei consumatori su scala globale afferma di essere  fedele a marchi con cui sente di avere una connessione forte, intima e personale.

Dato ancora più interessante, la fedeltà raggiunta attraverso una relazione “personale” con un marchio, influenza la percezione che ne abbiamo, orienta le nostre scelte e la condivisione di pareri ed esperienze, ma, soprattutto, non si scalfisce anche nel caso in cui sia minata da esperienze negative, coi prodotti o il servizio di vendita/post vendita. 

(Source: The truth about customer loyalty, KPMG International, 2019).

Pochi acquisti vengono fatti dai consumatori spinti da motivazioni di carattere puramente razionale. Quando scegliamo cosa acquistare, sia esso uno shampoo o un paio di scarpe, lo facciamo perché un prodotto ci attira, ci piace, ci sembra adatto a noi. Raramente questo senso di affinità dipende dal prodotto, più spesso è merito del Brand, che colma il gap delle competenze cognitive che ci mancano per comprendere benefici e funzioni di ciò che stiamo per acquistare, mette in campo elementi più emotivi, ci rassicura, facendosi garante del fatto che abbiamo preso la decisione giusta.

L’attrazione che sentiamo nei confronti di un Brand, la leva che fa scattare l’acquisto, il consiglio, l’advocacy, e la nostra lealtà possono derivare sì da esperienze positive avute in passato oppure dal passaparola favorevole di qualcuno di cui ci fidiamo, ma spesso, se ci sentiamo vicini ad una particolare marca, dipende dal suo carattere, dalla sua personalità e dalla capacità che ha di toccare “le nostre corde sensibili” con la sua comunicazione ed il modo in cui agisce nel mercato.

In un’era in cui il customer journey – ovvero il viaggio che in modo più o meno consapevole le persone compiono quando agiscono in qualità di acquirenti di un bene o servizio, interagendo con i vari punti di touchpoint del Brand – è solo in parte controllato dall’azienda.

Che strumenti hanno i Brand per stendere le basi per una relazione intima e personale con il proprio pubblico e mettere in connessione il proprio DNA a quello dei propri consumatori? È una pura questione di chimica.

La psicologia junghiana ci viene in aiuto offrendoci uno strumento potente nell’identificazione della “natura inconscia” del nostro pubblico, consentendoci di entrare in contatto con le sue emozioni intime e personali, comunicando con l’archetipo prevalente nella personalità del nostro target, con coerenza su tutti i touchpoint, siano essi fisici o digitali. 

Secondo Jung, filosofo e antropologo che ha sviluppato le sue teorie nella prima metà del ‘900, esiste una parte della psiche umana che ha natura collettiva, universale e impersonale, identica in tutti gli individui. L’inconscio, – la dimensione psichica contenente pensieri, emozioni, istinti, rappresentazioni, modelli comportamentali, spesso alla base dell’agire umano, ma di cui il soggetto non è consapevole-, può essere concepito come qualcosa di stratificato: lo strato più superficiale è personale, mentre quello più profondo è collettivo e innato.  

I contenuti di questo strato più profondo del nostro inconscio sono i cosiddetti archetipi: principi primitivi che raccontano attraverso figure descrittive simboliche le personalità umane superando limiti e barriere dati da culture, popolazioni, epoca storica. 

Comunicare attraverso gli archetipi permette ad un Brand di entrare in perfetta sintonia con il proprio pubblico, toccando le corde sensibili dell’animo umano. Questo tipo di comunicazione può, quindi, essere molto efficace nel momento in cui ci si trova di fronte alla necessità di passare un messaggio che va al di là di ogni differenza sociodemografica, anagrafica, culturale, etnica, geografica: un messaggio universalmente compreso.

La teoria sul modello archetipo non è recente: Margaret Mark e Carol Pearson già 20 anni fa nel libro “The Hero and the Outlaw” hanno applicato il modello Junghiano al marketing, il modello si rivela però estremamente attuale oggi, momento in cui i Brand hanno necessità di focalizzarsi su messaggi precisi, parole chiave immediate, di comunicare in modo coerente e risonante su più canali, direttamente controllati o no, al consumatore.

Perché l’Archetypal branding funziona? Perché parla allo strato più profondo del nostro inconscio, l’inconscio collettivo. La struttura archetipica ci aiuta innanzitutto a costruire la Brand Personality: il suo carattere, la sua capacità di entrare in relazione con gli altri, il suo tone of voice e colore.

L’Archetypal branding funziona perché si può applicare sia ad aziende B2B che B2C: tutti i marchi hanno un DNA, la sfida è far si che il DNA di Brand incontri quello del suo pubblico elettivo.

Gli archetipi, infine, funzionano perchè aiutano a definire meglio il marchio e il suo posizionamento nel mercato superando logiche di territorio, lingua, generazione, ed aiutandoci ad identificare una posizione unica e distintiva verso concorrenti diretti ed indiretti, nonché, soprattutto, i customer segments più in target, sulla base di affinità emotive e profonde. 

È cosi che l’essere umano diventa veramente al centro della relazione con il Brand. 

Se correttamente identificati, gli archetipi consentono a tutta la comunicazione di brand di essere estremamente efficace ed efficiente, sviluppano con il pubblico una relazione intima, emotiva e duratura, e fanno da volano al miglioramento di molti kpis omnichannel, tra cui Engagement, CLV (customer lifetime value) e Conversion. Provare per credere! 

Stefania Maglia
Stefania MagliaPartner yourCMO